Quali dati vende Facebook?

Il prossimo 25 maggio entrerà in vigore il nuovo Regolamento Europeo per il trattamento e la protezione dei dati personali. Si tratta di un evento molto importante, soprattutto alla luce dello scandalo che sta travolgendo Facebook proprio in questi giorni.

La nuova normativa prevede in particolare che le aziende e le amministrazioni pubbliche abbiano il dovere di garantire agli utenti un maggior controllo dei propri dati personali e sensibili, in modo da evitare che possano sorgere complicazioni indesiderate. CI facciamo aiutare da Sergio Pinto, fondatore di Geofelix Web Agency Pavia per spiegarvi quali dati vende Facebook.

Lo scandalo Cambridge Analytica

Lo scandalo Cambridge Analytica si sta rivelando una vera e propria Caporetto per Facebook. L’utilizzo improprio dei dati riguardanti circa 50 milioni di utenti del social media creato da Mark Zuckerberg per la campagna elettorale relativa alle passate presidenziali degli Stati Uniti si allarga ogni giorno di più, con esiti pesantissimi per la reputazione di Facebook, ormai apertamente accusata di violazioni su un tema sempre più importante come quello della privacy.

Quali sono esattamente i dati venduti da Facebook?

Quando si parla dei dati venduti da Facebook occorre fare una distinzione tra quelli diretti e indiretti. I primi sono quelli cui può accedere ogni utente del social media, ovvero la data di nascita, il comune di residenza, i contenuti che sono stati condivisi, i commenti, gli eventi cui si è partecipato, i like. Nella seconda categoria vanno invece a rientrare le informazioni desunte dalla rete di contatti che ogni utente intrattiene, ad esempio i siti online visitati o i prodotti oggetto di ricerca.

Per capire però la complessità del problema, occorrerebbe ricordare che il Washington Post ha elencato ben 98 tipi di dati che Facebook può trarre dai profili dei suoi utenti.

Cosa significa che Facebook vende i dati degli utenti?

A differenza di quel che si può pensare, i dati che Facebook vende non sono un pacchetto di informazioni ceduto all’azienda cliente, ma restano di proprietà di Facebook e sono conservati gelosamente dentro i server Facebook. Questi dati vengono “offerti” in maniera aggregata agli inserzionisti che vogliono effettuare campagne pubblicitarie sotto forma di un pubblico omogeneo a cui rivolgere le sponsorizzazioni. L’azienda X può ad esempio inviare la sua pubblicità su Facebook alle donne, di età compresa fra i 30 ed i 40 anni, che amano i gatti e contemporaneamente parlano italiano; ma nessuno può sapere chi sono quelle donne.

Perché la polemica assume toni sempre più aspri?

Il problema dei dati venduti da Facebook (e non solo) ha assunto in questi ultimi giorni toni sempre più aspri, tanto da spingere Mark Zuckerberg a scusarsi per quanto accaduto e a prendersi la colpa di quanto accaduto. Ma perché una questione che pure era già stata oggetto di rimostranze in passato ha assunto toni così concitati stavolta?

Probabilmente la spiegazione può essere data proprio dal fatto che se in passato erano le aziende ad acquistare i dati in questione, ora sulla scena sta irrompendo con sempre maggior fragore la politica, facendo della rete il maggiore strumento politico in assoluto, sostituendo i comizi o le tribune politiche di una volta. In tal senso basterebbe ricordare come proprio il web sia stato la base della propaganda del M5S, che in tal modo è riuscito a recuperare lo svantaggio derivante dalla mancanza di strutture territoriali, le sezioni, che sono invece tipiche dei partiti tradizionali.

La domanda chiave

La domanda che più di un addetto ai lavori si pone, alla luce di quanto successo, è quindi la seguente: cosa succederebbe se i partiti pensassero non più a conquistare il voto degli elettori, ma il loro cervello, come fa proprio il marketing, spingendoli magari a condividere valori o campagne che potrebbero infine rivelarsi pericolose per la stessa democrazia?

Proprio alla luce di questa domanda, non si può che salutare positivamente il prossimo avvento del regolamento europeo per effetto del quale Facebook e gli altri giganti del web non potranno più prendere informazioni senza espressa autorizzazione.

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